Fiaccolata e Camminata resistente a Torino. Per un 25 aprile Resistente.
Fiaccolata 24 aprile
Rifondazione Comunista presente alla fiaccolata del 24 sera con le bandiere della Pace e le bandiere rosse, per ciò che esse rappresentano, sin dagli albori del movimento operaio: la lunga lotta dei lavoratori, delle lavoratrici e di tutti i popoli oppressi del mondo, che vogliono unirsi, e non combattersi fra loro. Alla fiaccolata anche la CollettivA Menapace delle compagne del PRC con lo striscione con la frase della compagna partigiana Lidia Menapace “Fuori la guerra dalla storia.
Camminata Resistente
Come tutti i 25 aprile anche quest’anno su iniziativa del Circolo Centro-Crocetta del Partito della Rifondazione Comunista, si è svolta la Camminata resistente. Una camminata nel centro cittadino con partenza da piazza XVII dicembre in ricordo di chi ha dato la vita per la democrazia e la libertà con la posa di un garofano rosso sulle targhe in ricordo dei Partigiani e delle Partigiane. Sono intervenuti Alessandra Algostino, Luigi Saragnese e Angelo d’Orsi.
L’intervento di Luigi Saragnese
Anche quest’anno celebriamo il 25 aprile con la camminata resistente da piazza XVIII dicembre, dal luogo che ricorda la strage del dicembre 1922, di cui quest’anno commemoreremo il centenario, quando la furia omicida delle squadracce fasciste di Brandimarte attraversa Torino e in due giorni provoca 11 morti e decine di feriti.
La strage del 18 dicembre rappresentò un vero e proprio salto di qualità nell’uso della violenza che si spiega con il prevalere nel movimento fascista della componente degli arditi. È un salto di qualità che radicalizza le posizioni, e sposta a destra la linea del movimento mussoliniano, fa assumere al movimento i tratti più aggressivi del nazionalismo che si era già diffuso negli anni precedenti, della abitudine all’uso delle armi che si era radicato nei reparti degli arditi durante la grande guerra.
Ma noi sappiamo. che l’uso della violenza da solo non sarebbe stato sufficiente a vincere se esso non avesse goduto della certezza dell’impunità. La vittoria del fascismo fu possibile perché esso si alimentò della complicità degli apparati dello Stato, delle forze dell’ordine e della magistratura convinti che l’uso della violenza sarebbe stato l’elemento decisivo nello scontro con il movimento operaio e socialista. E questa fu anche la convinzione di gran parte del padronato industriale ed agrario che si sentivano minacciati dall’indisciplina che i lavoratori dimostravano nelle fabbriche, dalle rivendicazioni operaie, dall’occupazione delle terre e dall’esempio della rivoluzione d’ottobre. Per lor signori il ritorno all’ordine era una prova da vincere anche ricorrendo alla forza.
Capita, ancora oggi, a distanza di tanti anni da quegli avvenimenti, di sentir dire che Mussolini e il fascismo “hanno fatto anche delle cose buone”. Alcuni giustificano queste affermazioni dicendo anzi che se Mussolini non avesse fatto nel 1938 le leggi razziali, e non fosse poi entrato in guerra a fianco della Germania nazista, il fascismo sarebbe stato un regime “normale”, autoritario ma compatibile con quelli delle cosiddette democrazie liberali. Si fa finta di dimenticare che l’uso della violenza, della sopraffazione, del razzismo erano caratteri costituenti del movimento fascista sin alla nascita del regime, che l’esaltazione della guerra, l’odio contro i pacifisti presentati come collaborazionisti e “traditori della patria” ( epiteti che stanno tornando in uso oggi con la guerra ucraina), erano parte di una cultura che a sua volta aveva attinto a piene mani alle ideologie nazionaliste ed imperialiste che avevano alimentato lo scoppio della Prima guerra mondiale. La guerra non fu dunque un incidente di percorso, ma lo sbocco conseguente di tutta una politica tesa al predominio imperialista, alla conquista dell’egemonia a livello internazionale.
Ed è proprio in questo 77° anniversario della Liberazione che la guerra, col suo carico di distruzione e di morte, torna ad essere centrale nella vita dei popoli d’Europa dopo aver devastato nel 1999, abbellita dall’aggettivo “umanitaria”, la ex Jugoslavia ad opera della Nato.
Ma l’esplosione della guerra in Ucraina, con l’intervento armato russo avviene dopo otto anni di conflitto regionale nel Donbass, una guerra che tutti i governi occidentali e i grandi mass media avevano finto di ignorare e di cui avevano nascosto la gravità. La guerra, rimette al centro del dibattito la necessità del suo ripudio, così come sancito dall’art.11 della nostra Costituzione, nata proprio dalla Resistenza partigiana.
Il riferimento al valore della pace, così come a quelli di libertà e giustizia sociale, è stato elemento caratterizzante e fondativo della lotta di Liberazione antifascista, ed è per questo che il suo rilancio da parte dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ha scatenato reazioni velenose da parte delle frange più oltranziste ed atlantiste dei media italiani.
In un paese in cui la concentrazione delle testate giornalistiche e delle reti televisive limita di fatto la libertà di stampa, non è dunque una sorpresa che i richiami alla pace e al cessate-il-fuoco sono stati fin da subito letti come un intralcio agli interessi di riarmo e di nuove commesse militari, tanto da cercare ogni pretesto per screditare il dissenso verso questa nuova guerra. Si spiegano così l’apparire sin dai primi giorni della guerra di azioni di censura culturale e accademica, avvenute anche in Italia verso opere di autori e lingua russe, che nulla hanno a che fare con la politica di Putin, facendo risaltare la contraddizione di limitare proprio quelle libertà, per la cui tutela si dichiara di doversi schierare a favore di Zelenski.
Ed è così mentre La Repubblica sostiene che il Manifesto della marcia per la Pace Perugia-Assisi rappresenta un vilipendio dei cadaveri ucraini, in quanto, sotto la scritta “Fermare la guerra” le vittime appaiono sotto un fuoco incrociato, un editorialista del Corriere della Sera ha potuto tacciare l’A.N.P.I. di essere un’associazione di “putiniani”, una diffamazione spregevole, utile a distogliere l’attenzione dal fatto che i ‘filo-putiniani’ di lunga data – da Berlusconi, a Salvini, passando per Meloni – oggi siedono al governo e sono parte integrante dell’ampia coalizione che sostiene da destra il governo Draghi, insieme al PD.
Sventolando la bandiera della “libertà dell’Ucraina” le stesse risorse inizialmente stanziate per il potenziamento dei sistemi sanitario e scolastico, impoveriti da decenni di politiche liberiste, sono state rapidamente spostate e 13 miliardi sono stati destinati all’aumento della spesa militare a favore della NATO.
Lo stesso termine “resistenza”, associato all’intervento dell’esercito ucraino contro le truppe di Putin e per instaurare un parallelismo con la nostra lotta di Liberazione , è forse fra le insidie retoriche maggiori di questa Festa della Liberazione.
Non è soltanto la presenza di raggruppamenti di matrice nazifascista, come il battaglione Azov della guardia nazionale ucraina, o la menzione di eroe con tanto di istituzione nel 2019 di una giornata di festa nazionale per celebrare la nascita del collaborazionista nazista ucraino Stepan Bandera, a rendere evidente la differenza sul piano politico. La lotta di Liberazione in Italia si poneva come obiettivi non solo l’abbattimento del regime fascista, ma anche della monarchia, che del fascismo era stato complice, e la costruzione di un nuovo Stato democratico basato non solo sull’affermazione dei diritti civili e politici ma anche dell’eguaglianza economica e sociale. Sono tutti elementi assenti nell’Ucraina di Zelenski, che ha recentemente messo fuorilegge tutti i partiti di opposizione, che si aggiungono al Partito Comunista, fuorilegge già dal 2015.
Per questo continueremo a manifestare la nostra solidarietà con le popolazioni dell’Ucraina e del Donbass che continuano a pagare, come per ogni guerra, il prezzo maggiore in termini di vittime civili, continueremo a batterci contro l’aumento delle spese militari, contro l’ulteriore invio di armi, per la ricerca di una soluzione pacifica, che ponga fine alla guerra.
Luigi Saragnese
Torino, 25 aprile 2022
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