Con la ricostituzione e il rilancio del Dipartimento Lavoro, si è per noi finalmente riproposto con forza il necessario rilancio della questione “Lavoro”. Grande parte di tale rilancio non può ovviamente che essere legato ai settori produttivi (industria in primis) e alle grandi trasformazioni tecnologico–organizzative che li attraversano, senza dimenticare le diverse situazioni di crisi/ristrutturazione/delocalizzazione che in modo particolare la nostra Regione, il Piemonte, ben conosce: a ciò si lega anche l’esigenza di un rilancio dello intervento pubblico in economia, di una spesa adeguata in investimenti pubblici e di una altrettanto adeguata politica industriale.
Esempio di questo rinnovato impegno è stato il Convegno Nazionale che si è svolto nella nostra città il 25 gennaio scorso sul tema dell’Automotive, e che rientra nella più generale considerazione per cui il riferimento di classe resta, per una forza politica che si definisce comunista, assolutamente fondamentale, naturalmente in una accezione che va oltre il classico riferimento operaio per abbracciare l’insieme del lavoro dipendente, sia manuale che intellettuale.
In quest’ambito, ci pare necessario e opportuno richiamare l’attenzione sul lavoro pubblico, provando a sollevare alcune questioni che richiederanno, per forza di cose, lo sviluppo di una riflessione collettiva e con ben altra profondità ed ampiezza, rispetto a queste brevi note.
Il settore pubblico è stato, in questi anni, quanto mai bistrattato: l’ondata delle privatizzazioni ne ha ristretto fortemente il perimetro, in termini di servizi e di personale; una grande campagna denigratoria si è sviluppata contro i lavoratori e le lavoratrici del Pubblico, troppo spesso genericamente identificati come “fannulloni”. Eppure, diverse misure vessatorie si sono soffermate su di loro: dalle fasce più estese di “obbligo di dimora” in caso di malattia all’inaccettabile ritardo nella erogazione del TFR, facendo emergere come ormai completamente infondata qualsiasi idea del lavoro pubblico come settore “privilegiato” rispetto agli altri lavoratori e alle altre lavoratrici.
I dati disponibili confermano ed evidenziano la progressiva riduzione del numero dei dipendenti pubblici (pur essendo esso già al di sotto del quadro europeo, pesando molto meno sui conti pubblici di quanto accade ad esempio in Francia e UK), il loro progressivo invecchiamento, una sostanziale situazione di blocco salariale, la presenza di una % significativa di lavoro flessibile.
Dal 2009 ad oggi nel lavoro pubblico si registrano, in base a quanto afferma la FP CGIL, “circa 165 mila unità in meno, così come emerge dai dati del Conto Annuale dello Stato. Per la prima volta in tutti i comparti dei servizi pubblici si supera l’età media dei 50 anni. Nei prossimi anni si prevede dunque, inevitabilmente, un’accelerazione delle uscite, anche (ma non solo) per via di Quota 100. Saranno circa 500 mila le uscite in 3 anni, di cui 150 mila con la nuova misura di governo”.
Come se non bastasse, diversi comparti pubblici sono stati coinvolti, in questi anni, da veri e propri “processi di ristrutturazione”, che hanno rischiato di metterne in forse l’esistenza stessa (pensiamo a Province e Città Metropolitane, o alle Camere di Commercio).
Altro campo dei servizi di pubblica utilità già investito da questo processo, in larga parte indiscriminato e con relativo rischio di eccedenze di personale, è quello delle aziende partecipate dei Comuni.
Naturalmente una attenzione specifica va indirizzata, senza trascurare la complessità di tutto il settore pubblico (Enti Locali, Stato, Parastato) verso le tematiche fondamentali della Sanità e dell’Istruzione. Per ciò che riguarda la Sanità, in particolare, da molto tempo in tutta Europa, e non solo, è in atto un attacco ai sistemi sanitari universalistici e si può dire che in molti casi si sia arrivati alla resa dei conti. Nel nostro Paese tutti i Governi e le Regioni, hanno tagliato i finanziamenti alla Sanità pubblica peggiorando la qualità e l’accessibilità ai servizi (oltreché le condizioni di lavoro), aumentato le coperture sanitarie assicurative private o mutualistiche agevolate da politiche di defiscalizzazione e inserite nei contratti di lavoro. Contemporaneamente viene incentivato l’ingresso in Sanità di gruppi privati, con l’obiettivo chiaro di fare profitto sulla salute dei cittadini. Il settore della Sanità è stato individuato dal grande capitale finanziario come un campo strategico di investimenti, a patto che si restringa il ruolo dello Stato e del Servizio Pubblico.
Né va sottovalutato il tema generale degli appalti pubblici, troppo spesso coinvolti nell’infiltrazione corruttiva che vi si può nascondere: da luglio 2014 a ai primi mesi del 2019, l’Autorità ha potuto verificare che il 74% delle vicende corruttive esaminate riguarda l’assegnazione di appalti pubblici, a conferma della rilevanza del settore e degli interessi illeciti ad esso connessi, per via dell’ingente volume economico che ne deriva.
Tutto ciò ci porta ad affermare che si configura oggi una vera e propria “crisi del lavoro pubblico”: una crisi di una specie particolare, poiché direttamente indotta dalle politiche portate avanti da tutti i governi che si sono fin qui succeduti nel tempo.
Un lavoro di impegno per la “riabilitazione” della P.A. richiede, quindi, contrattazione e retribuzioni di qualità, ambienti di lavoro sicuri e soprattutto maggior riconoscimento sociale della “funzione pubblica”, che troppo spesso nell’immaginario collettivo viene ormai associata a privilegi, imbrogli, furbizie del cartellino e svogliatezza.
Nel lavoro pubblico si è invece verificato, negli anni, un sostanziale blocco della contrattazione, sia nazionale che decentrata, fatto questo che, oltre ad incidere negativamente sui livelli salariali, ha comportato anche il divieto di contrattare l’organizzazione degli uffici e dei servizi, tema, quest’ultimo, fondamentale per il loro buon funzionamento.
Tutto ciò ha trasformato la contrattazione sui posti di lavoro pubblici in un percorso ad ostacoli, che ha innescato spesso meccanismi da “guerra fra i poveri” e limitato gravemente il ruolo delle RSU che si eleggono ogni 3 anni, peraltro con grande partecipazione al voto dei lavoratori e delle lavoratrici.
Tale quadro si è solo parzialmente allentato con l’ultimo rinnovo contrattuale, siglato nel 2018, a ridosso della propria scadenza (e quindi già nuovamente scaduto e in attesa di ulteriore rinnovo dall’inizio del 2019).
Ciò ha determinato, fra l’altro, un clima di accentuata rassegnazione fra i lavoratori e le lavoratrici, laddove in passato avevamo invece avuto momenti di “rivolta” contro questo stato di cose.
In considerazione di tutto ciò, è quindi essenziale, per una forza politica come Rifondazione, riprendere un intervento su questo settore di lavoratori e lavoratrici, che ha un’importanza fondamentale per la vita del nostro Paese.
Tutto questo ha per noi anche un risvolto strategico, poiché in Italia, lo Stato Sociale si muove sui binari della privatizzazione ormai da decenni, e a rimetterci non è solo l’equità (già peraltro compromessa) ma anche l’efficienza delle prestazioni, con l’esaltazione della narrazione neoliberista che decanta le supposte virtù del Privato contro la presunta inefficienza congenita del Pubblico. E stiamo parlando di Welfare nazionale e dei Comuni, di manutenzione delle strade, di circolazione stradale, sicurezza, lotta all’evasione fiscale e contributiva, edilizia popolare, vigili del fuoco, medici, ospedali, asili nido, assistenza agli anziani, scuola, università, ricerca, trasporti, acqua, elettricità, energia…: ogni aspetto della nostra vita è coinvolto!
Perciò il tema va affrontato avendo ben chiara e definita una nostra idea di Pubblica Amministrazione, che si ricolleghi direttamente alla nostra idea più complessiva di società.
È la stessa nozione di pubblico a dover essere precisata una volta per tutte perché ormai non si fa più alcuna distinzione fra strutture pubbliche vere e proprie e strutture gestite da privati o dal terzo settore, con forza-lavoro peggio pagata, anche in virtù di contratti sfavorevoli. Far decadere le strutture pubbliche diventa un modo per lasciare alle spietate logiche del mercato i diritti dei cittadini, a partire dal diritto alla salute.
A fronte di tutto ciò, è necessario sostenere un’idea di Pubblica Amministrazione “diffusa”, articolata nei suoi vari livelli, con il giusto equilibrio fra di essi (onde evitare effetti disastrosi, come nel caso della “riforma” delle Province). L’obbiettivo deve essere quello di perseguire e raggiungere la massima efficacia dei servizi che vengono erogati e quindi della loro corretta organizzazione: anche qui c’è un problema di equilibrio, fra tutela dei lavoratori e delle lavoratrici ed il necessario raccordo con i diritti dei cittadini-utenti. Da questo punto di vista, ci può senz’altro aiutare e sostenere tutta la riflessione sul tema dei “beni comuni”, che si intreccia con un’idea di partecipazione e di nuova strutturazione del servizio pubblico.
Dal punto di vista dei lavoratori e delle lavoratrici, come già accennato, scavalcate le vecchie concezioni basate su “ruoli fissi” e inamovibili, così come su bassi salari uniti però a taluni privilegi, la contrattazione si è ormai affermata nel settore, ma ciò è avvenuto scontando la permanenza di numerosi ostacoli e limitazioni.
Nella Pubblica Amministrazione, inoltre, il concetto di “performance” ha spesso posto in luce un processo involutivo che ha portato, come nel Privato, a barattare parti di salario con la competizione tra lavoratori e lavoratrici e l’accrescimento dei ritmi e della produttività individuale. Peraltro, andrebbe aperta una riflessione sul fatto che da oltre 20 anni non esistono più, nel Pubblico, i cosiddetti “mansionari”, col risultato di far crescere senza controllo la flessibilità nella prestazione del dipendente.
Occorre quindi rivendicare una contrattazione decentrata non più sottoposta a inaccettabili vincoli e che veda il pieno coinvolgimento dei lavoratori e delle lavoratrici, riaffermando nel contempo il ruolo fondamentale del Contratto Nazionale, da rinnovarsi alle sue naturali scadenze, e con l’applicazione rigorosa e puntuale di adeguate procedure democratiche per l’approvazione di piattaforme e accordi .
L’obbiettivo dell’efficacia dei servizi va cioè collegato con la piena affermazione dei diritti di contrattazione per i lavoratori pubblici, e con la rivendicazione della adeguatezza (numerica e professionale) del Personale impiegato, insieme con la necessaria partecipazione della cittadinanza, con la ri-pubblicizzazione dei servizi esternalizzati o “inquinati” dalla gestione privatistica: tutto ciò deve naturalmente tradursi in interventi concreti in tutti i segmenti da cui è composto ciò che definiamo come Servizio Pubblico, compresi, quindi, gli asili nido privati e privatizzati, le cooperative in cui si articola l’assistenza, la Sanità Privata, l’acqua, i trasporti, ecc.: più che mai occorre dare gambe all’obbiettivo più generale di instaurare parità di trattamento per tutti i lavoratori che concorrono all’erogazione di servizi di interesse pubblico.
Inoltre va ribadito, a nostro avviso, il giudizio negativo sul ruolo del cosiddetto “welfare aziendale”, tema particolarmente delicato in un settore come quello Pubblico, specie per ciò che riguarda la Sanità integrativa: esso rappresenta, infatti, un aspetto sostitutivo del servizio pubblico, facilitando l’accettazione del fatto che diritti per natura universali possano essere affidati alle regole di mercato.
C’è, infine, una emergenza occupazionale diffusa in tutti i settori e in tutti i territori. Non basta avere prorogato al 31 dicembre il termine delle stabilizzazioni previste dal prolungamento della legge Madia. Bisogna capire quante saranno le assunzioni possibili già a partire dalla primavera del 2020 visto che andranno in pensione decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici di importantissimi settori della Pubblica Amministrazione (fra cui medici e infermieri), con il rischio reale del sostanziale blocco dell’attività in numerosi Enti. Occorre quindi necessariamente dare gambe alla rivendicazione basilare di un piano generale di assunzioni di qualità nella Pubblica Amministrazione (contro il dilagare della precarietà anche negli enti pubblici), basato sulle necessità reali dei vari servizi, superando nel più breve tempo possibile i malefici effetti di anni di blocco delle assunzioni.
Tutto ciò va fatto, inoltre, a partire dalla necessaria opposizione ai vari progetti di “autonomia regionale”, che portano un ulteriore attacco pesantissimo all’universalità del servizio pubblico, già largamente intaccata dall’ingresso del Privato.
Tutta questa articolatissima materia va quindi al più presto affrontata e ridefinita, non con l’intento di costruire un “sistema” chiuso in se stesso, ma con lo scopo di darci una bussola che ci aiuti ad interpretare i processi e, almeno potenzialmente, ad incidere su di essi.
Occorre perciò che tutta Rifondazione sia coinvolta nella necessità impellente di riprendere un lavoro collettivo su queste tematiche dalle assai ricche implicazioni politiche, prevedendo e programmando nel prossimo periodo le adeguate iniziative per portare l’attenzione, dentro e fuori il partito, su tale necessità.
11/02/2020
Fausto Cristofari Franco Cilenti (Federazione PRC di Torino)
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