Lotta coronavirus senza dismettere colpe e responsabilità

Tratto da Lavoro e Salute – marzo 2020

di Ezio Locatelli*

Tra i tanti numeri del contagio e delle morti da coronavirus quelli di Bergamo sono impressionanti. Lo sono ancor più tenuto conto di numeri sottostimati che non tengono conto delle molte persone che si ammalano e muoiono a casa, senza tampone e senza terapie. Non si sa più quali parole usare per descrivere la catastrofe che si è abbattuta su una delle realtà più ricche e industrializzate del paese:“situazione fuori controllo”, “disastro sociale”, “scenario da apocalisse”. Il fotogramma che ha fatto il giro del mondo dei camion militari che trasportano decine e decine di bare dice più di tante parole.

 

Al punto in cui ci si trova - non solo la realtà di Bergamo visto che l’epidemia si sta espandendo - diventa assai problematico correre ai ripari. Al fine di evitare il peggio del peggio non c’è dubbio alcuno che tutti sono chiamati a fare la propria parte. Ma detto ciò non possiamo fare a meno di gridare forte la responsabilità di chi si è adoprato perché non venissero isolati sul nascere alcuni focolai che si sono propagati in maniera incontrollata causando danni a non finire. Uno di questi, il più virulento, il focolaio della bassa Valseriana, una zona ad alta densità industriale e demografica, dove il virus prima ha attecchito e poi si è diffuso in ogni dove.

Sono tanti i politici di ogni risma, che si sono opposti all’istituzione della zona rossa. Si è continuato a parlarne senza un nulla di fatto. Come mai? Errore di sottovalutazione del pericolo della prima ora? No. Fin da subito si è deciso, con pervicacia, di far prevalere gli interessi del portafoglio delle tante aziende che hanno chiesto e ottenuto di poter continuare le proprie attività come se nulla fosse. Cinismo, irresponsabilità motivata dal profitto ben rappresentata dai messaggi rassicuranti lanciati da Confindustria: #bergamoisrunning, avanti con le produzioni, avanti con gli incontri d’affari, il rischio di infezione è basso. A far da portavoce degli interessi padronali una larga schiera di politici di governo e opposizione. Per tutti la parola d’ordine sciagurata era #bergamononsiferma, anche in questo caso con tanto di hashtag iniziale. A rincarare la dose l’ex Ministro degli Interni leghista col suo invito, via facebook, a tenere aperti stadi, cinema, musei, negozi, aziende e quant’altro tranne poi dire, a disastro compiuto, l’esatto contrario. Affermazioni a dir poco dissennate che hanno trasformato Bergamo nell'epicentro mondiale del coronavirus. Com’è possibile che ancor oggi in Lombardia e nelle regioni del Nord, in presenza di una accelerazione dell’epidemia, rimangano aperti luoghi di lavoro via via diventati luoghi di infezione? Assurdo, intollerabile che da una parte si chieda a gran voce di rimanere a casa e dall’altra poco o nulla si dice per i molti che sono costretti ad andare a lavorare in fabbrica.

Noi non dimentichiamo. La diffusione del coronavirus non è una catastrofe così tanto naturale. C’è una classe politica e imprenditoriale che porta grandi responsabilità. Quella di aver piegato il diritto alla salute alle ragioni del profitto. Quella di aver creato in tanti anni di politiche dissennate i presupposti per l’attuale disastro sociale e sanitario: ridimensionamento della sanità pubblica, privatizzazioni di servizi essenziali, riduzione delle spese di prevenzione, rimozione dei vincoli di salvaguardia ambientale. Quella di aver abbattuto le difese immunitarie sociali. Tranne poi strillare di “realtà allo stremo”. Adesso facciamo tutto quanto è necessario per uscire dal tunnel in cui ci troviamo. Ma una volta usciti dal tunnel è proprio il caso di dire che i responsabili dovranno pagare caro, pagare tutto.
*direzione nazionale Prc-Se

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