Ricordo di Fausto Bertinotti

Se ne è andato Gianni Alasia e una grande tristezza è calata su di noi. E’ morto un compagno e un maestro. Quelli, come me, gli devono molto, devono molto alle sue attenzioni, alle sue cure fin da quando, più di cinquantenni fa, cominciammo l’attività sindacale e la militanza politica. Insegnava senza insegnare, senza cioè salire in cattedra. Diventammo subito amici e l’amicizia familiare, condivisa con la sua Pierina e Lella, proseguiva nel privato il nostro impegno sociale.
Gianni è stato un uomo integro e rigoroso, ma capace di intensi sentimenti. Alasia è stato un dirigente del movimento operaio di quella razza speciale che è albergata a Torino, dalla Resistenza operaia contro il fascismo, alla resistenza di classe contro lo sfruttamento e l’autoritarismo della FIAT nella ricostruzione; alla resistenza contro la discriminazione padronale e di fronte alle sconfitte. Quelli ce l’hanno fatta a rivedere il cielo, a vivere da protagonisti la riscossa operaia e studentesca di quel biennio rosso, ’68-’69, che ha attraversato tutti gli anni ‘70 fino ai “35 giorni”, con l’esperienza straordinaria del sindacato dei consigli. Quella Torino che, come sta scritto in un famoso libro degli anni 60, era “la città che sta al centro della dialettica rivoluzionaria del movimento operaio italiano, per la maturità della coscienza politica acquisita dalla sua classe come diretta conseguenza del suo più progredito sviluppo industriale”. Al centro della città della FIAT stava la FIOM e la Camera del Lavoro, segretario generale Emilio Pugno, segretario generale aggiunto Gianni Alasia. Due nomi per dirne altri cento, mille, anche sconosciuti. Una particolare stirpe di sindacalisti, fatta di comunisti, di socialisti, di altro ancora che, in comune, avevano fatto dell’appartenenza alla classe operaia la ragione della propria esistenza da mettere sopra ogni altra cosa, partito o sindacato che fosse. Alasia era stato molto legato a Rodolfo Morandi che, morendo gli aveva donato la sua medaglietta di parlamentare, quasi una consegna. Morandi aveva detto “ho sempre messo davanti agli interessi di partito quelli del movimento operaio”.
Uomo della CGIL, ha militato nel PSI, nel PSIUP, nel PCI e in Rifondazione Comunista. Nel nostro linguaggio, è andato dove “passava il socialismo di sinistra”, quello che non ha mai smesso di pensare e di agire per la trasformazione della società capitalista. Aveva vivo quel che Gramsci aveva chiamato lo spirito di scissione, lui, pur così profondamente unitario. Si trattava, allora, con un atto di ribellione di salvare dal naufragio ciò che andava preservato per il futuro. Il futuro, un futuro migliore, per gli oppressi, per l’umanità, è stata la sua ossessione. Di Gramsci aveva raccolto un’altra indicazione: “studiate, studiate perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”. Così la sua cassetta degli attrezzi si è sempre arricchita di un nuovo saper fare, di una prassi e di un riflettere, di uno studiare e partire da esso. Da qui anche la sua attenzione alla scuola, come si può vedere leggendo quel piccolo capolavoro che è un libro pubblicato da Einaudi, da lui curato, sui lavoratori-studenti. Non amava i primi piani, perciò, anche nel sindacato, spesso si impegnava in lotte che potevano apparire periferiche o sperimentali da cui sempre sapeva però ricavare una lezione generale. E’ stato, nella sua intransigenza, un uomo del dialogo, dell’abbattimento dei muri come possono testimoniare tanti cattolici e tanti appartenenti a fedi diverse, valdesi o ebraiche che fossero. Sapeva parlare con gli ultimi: ne fanno fede gli aneddoti che raccontano come, in occasione di certe sue discese a Roma per le riunioni sindacali, si intratteneva alla stazione con le prostitute per discutere della loro vita grama e per prospettare loro l’impegno nella politica fornendo materiali e libri. Si è detto che aveva un’attitudine missionaria. Non so sei sia vero, so che conoscendolo si poteva dare un volto alla moralità. Una moralità forte e particolare perché nasceva dal bisogno del riscatto. Nel 1960 uscì, presso Editori Riuniti, un libro importante: “La scatola di cemento” scritto da Alasia, Accornero, Dozzo, Tarizzo; sottotitolo “Una documentazione drammatica della resistenza operaia contro lo strapotere del monopolio”, resistenza di cui gli autori erano stati protagonisti alla FIAT Mirafiori come alla Savigliano. Bisogna leggerlo per capire la radice di quella straordinaria moralità di vita e politica.
A Gianni Alasia non si poteva non volere bene; noi gli abbiamo voluto molto bene. Vorrei che fosse accompagnato, ora, da un mare di bandiere rosse e dal canto dell’Internazionale. Ti sia lieve la terra, compagno Alasia. Grazie per tutto quello che ci hai donato. Ciao Gianni.
Fausto Bertinotti

Tesseramento 2023

 

  

 

L’ISCRIZIONE A RIFONDAZIONE COMUNISTA: UNA SCELTA DI CLASSE

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