16 NOVEMBRE IN VALSUSA: ROMPIAMO LO STATO DI ASSEDIO

tratto da Liberazione On line del 7 novembre 2013

di Ezio Locatelli*

A stigmatizzare l'idea che lo Stato ha della Valsusa ci ha pensato Claudio Graziano, capo di stato maggiore dell'Esercito, in una recente intervista rilasciata a un quotidiano torinese. Il capo di stato maggiore parla della recente missione di quattrocento militari destinati alla Valsusa, quattrocento militari e più armati di tutto punto, dislocati in una valle che protesta contro il cantiere dell'alta velocità Torino Lione: "Sono tutti uomini di grande esperienza che hanno prestato servizio all'estero, in Afghanistan, in altri scenari internazionali", dichiara il generale, uomini che assumono "funzioni di polizia giudiziaria" in un'area della Valsusa che è stata dichiarata di "interesse strategico nazionale".

Se all'Esercito aggiungiamo le forze di polizia, carabinieri, guardia di finanza  mille sono le unità di stanza in Valsusa con un costo di mantenimento di circa 100 mila euro al giorno. In pratica siamo ad una vera e propria occupazione militare di una parte di territorio italiano. Territorio nemico di una idea di progresso ad alta voracità.

Questa idea di progresso ruota intorno a un giro di affari colossale. Insieme a un nuovo tracciato ferroviario si tratta di scavare 50 chilometri sotto il Moncenisio. Poco importa se l'opera è costosissima, distruttiva ed anche totalmente inutile visto che la sua realizzazione avverrebbe doppiando una linea ferroviaria internazionale, sottoutlizzata, che c'è già. Poco importa di un'opera insostenibile alla luce di qualsiasi valutazione costi/benefici, opera divenuta ancor di più scandalosa dal momento in cui la crisi viene usata per tagliare welfare, pensioni, redditi, sanità pubblica, scuola pubblica, servizi vari. Il fatto è che siamo in piena recessione economica, vanno create nuove occasioni di profitto, costi quel che costi.

Ciò spiega perché in Valsusa, abbandonata da tempo ogni parvenza di dialogo e democrazia, è scontro frontale. Nessun confronto con i sindaci e gli innumerevoli studiosi ed esperti sostenitori della insensatezza del Tav, figuriamoci se vale la pena stare a sentire la protesta dei cittadini. La parola d'ordine che percorre i Palazzi del potere è repressione e denigrazione. Balza in primo piano l'operato degli apparati giudiziari, di polizia e di organi di informazione interpreti fedeli di una legalità illegale - quella della distruzione del territorio, dello spepero di risorse pubbliche, delle zone rosse attorno ai cantieri Tav - decretata da una politica legata a un vecchio modello di sviluppo, nel peggiore dei casi  collusa in affari con il mondo delle imprese e delle banche. Il fatto  straordinario in Valsusa è che questo vissuto di espropriazione si traduce e si esprime in uno straordinario senso di appartenenza, di legame sociale, di solidarietà diffusa, di protagonismo conflittuale. Per il governo, i poteri forti una cosa assolutamente intollerabile.

Il salto di qualità col quale si è cercato di determinare un punto di svolta  in termini di repressione e di assoggettamento di una comunità indomita lo si è visto negli ultimi mesi: un crescendo parossistico di arresti, perquisizioni, avvisi di garanzia, fogli di via e soprattutto tanto fango. L'idea diffusa a piene mani è che incendi di macchinari vari, spesso obsoleti e fuori uso, nella presidiatissima area del cantiere, così come la messa in circolazione di strane e provocatorie lettere minatorie per forza di cose sono opera di No Tav. Colpevoli a prescindere. Nessun dubbio su provocazioni e depistaggi vari. Miopia allo stato puro. Persino il Presidente della Repubblica non si è sottratto alla sequela di posizioni aprioristiche. Intanto continuano le provocazioni, le minacce e gli attentati contro gli attivisti e i presidi No Tav, ma queste sono altre storie, storie minori - di mezzo ci sono dei rompiscatole, non imprese, non interessi affaristici, non potentati vari - a cui è bene non dare troppo risalto. Chissà perché in questi casi i colpevoli non si trovano  mai.

Il 16 novembre i valsusini torneranno in piazza per manifestare "contro la distruzione e l'occupazione militare della Valle, per dire no al furto di denaro pubblico". Non solo una manifestazione per dire di una opposizione, di una resistenza coriacea ma per affermare con forza la necessità  di una diversa politica di equità, di giustizia,  di sviluppo: "per un lavoro utile e dignitoso, per ospedali, scuole e trasporti efficienti, per la cura del territorio". Ancora una volta sarà una dimostrazione di grande dignità e di grande determinazione  di una comunità che non intende essere calpestata, vivere in stato di assedio, trattata alla stregua di una colonia; di una comunità che non intende subire passivamente la violazione di alcuni diritti fondamentali alla salute, all'ambiente, alla partecipazione democratica su scelte che riguardano il proprio territorio.

Intorno a questa comunità indomita, diventata riferimento per le lotte in tutta Italia, occorre continuare a tessere una rete di sostegno e solidarietà. Rifondazione Comunista in questo farà la sua parte. Ne va non solo della Valsusa ma delle lotte e delle speranze di cambiamento che sono presenti in questo momento in tutto il Paese.
 

*segretario provinciale Prc Torino

Torino, 7 novembre 2013

 

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